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Mostra NAFRICA-MASCHERE di Simon Njami
Eredità coloniale italiana, identità, memoria e potenza trasformativa dell’arte contemporanea
Dal 15 ottobre 2025 al 6 gennaio 2026 | Museo e Real Bosco di Capodimonte
Nell’ambito
delle celebrazioni Napoli2500
con
la direzione artistica di Laura
Valente,
il
Comune
e il Museo
e Real Bosco di Capodimonte,
diretto da Eike
Schmidt,
ospiteranno la mostra NAFRICA-MASCHERE
a
cura di Simon Njami e prodotta da Andrea
Aragosa
per Black tarantella.
L’appuntamento è realizzato in collaborazione con il Ministero
della Cultura,
Dipartimento Valorizzazione Patrimonio Culturale; l’Università
Federico II di Napoli;
l’Università
L’Orientale
e MUCIV,
Museo delle Civiltà. La
mostra affronta le radici irrisolte del colonialismo italiano in
Africa, interrogando il rapporto tra memoria,
identità e i linguaggi dell’arte contemporanea.
Si
ripercorre, da un lato, l’influenza che la scultura africana ebbe
sui movimenti artistici del primo Novecento e, dall’altro, la
narrazione coloniale che ha profondamente segnato la storia culturale
italiana. Dalla Biennale di Venezia del 1922, dove furono mostrati
per la prima volta manufatti di “arte primitiva”, alle grandi
esposizioni coloniali di Napoli
(1934 al Maschio Angioino e 1940 alla Mostra d’Oltremare), il
percorso mette in luce il modo in cui “l’ideologia coloniale”
si è servita delle arti per consolidare il proprio immaginario.
Elemento centrale della mostra è il lavoro di una figura controversa
come l’antropologo fiorentino Lidio
Cipriani,
i cui viaggi documentati tra il 1923 e il 1927 verso il Corno
d’Africa – attraverso fotografie, testi e calchi facciali
policromi – rivelano la costruzione scientifica e culturale
dell’“altro”, del “diverso”, del “Negro”. Questi
materiali, provenienti dal Museo
di Antropologia dell’Università Federico II di Napoli,
sono presentati non tanto come reperti, ma come documenti della
violenza ideologica che contribuì a giustificare schiavitù,
segregazione e le leggi razziali del 1938.
“Accanto
a questo inquietante archivio visivo, venticinque
artisti contemporanei,
africani ed europei, sono stati invitati a “rispondere” con opere
nuove o esistenti, mettendo così in dialogo due registri opposti: da
un lato, la riduzione del volto umano a oggetto coloniale;
dall’altro, la riaffermazione della soggettività attraverso
l’arte. Non si tratta di una semplice denuncia, ma di un confronto
visivo capace di generare nello spettatore una consapevolezza
profonda e non mediata, ciò che Jean-Paul Sartre definiva ‘lo
shock dell’essere visti’.
Questa
mostra è necessaria. Dipinge un quadro terribile dell’immobilità
della storia e del modo in cui siamo incapaci di imparare da essa. La
storia non appartiene a un popolo. È l’esplosione dell’incontro.
E se la propaganda del nazismo affermava che la storia è sempre
scritta dai vincitori, allora è giunto il momento di riscriverla.
La
mostra si sviluppa come un libro visivo: ogni opera, ogni documento
d’archivio diventa una nota o un’illustrazione di un racconto
collettivo ancora in costruzione. L’obiettivo non è proporre una
morale o una lettura univoca, ma aprire uno spazio di risonanza
critica, dove l’arte possa agire come strumento di esorcismo e
riscrittura”, come spiega il curatore Simon Njami.

Antonio
Biasiucci, Assunta Saulle, Bruno Ceccobelli, Délio Jasse, Edson
Chagas, Euridice Zaituna Kala, Felice Levini, Férielle
Doulain-Zouari, Gonçalo
Mabunda, Jean Lamore, Maria Magdalena Campos, Mario Ciaramella,
Maurice Pefura, Michèle Magema, Michele Zaza, Mwangi Hutter, Myriam
Mihindou, Pascale Marthine Tayou, Pélagie Gbaguidi, Theo Eshetu,
Ugo Giletta.
Pensata
come mostra
itinerante, NAFRICA-MASCHERE è
concepita per evolversi: nuove opere, nuovi artisti e nuovi contesti
potranno integrarsi lungo il suo percorso, generando ogni volta
rinnovati spunti di riflessione e dibattito.
Simon
Njami è curatore, scrittore e teorico dell’arte
contemporanea, con un focus specifico sulle pratiche artistiche
africane e della diaspora. Nato a Losanna nel 1962 da genitori
camerunesi, Njami ha dedicato gran parte della sua carriera a
smantellare le narrazioni eurocentriche sull’Africa, ridefinendo i
confini del discorso artistico globale. È stato curatore della
celebre mostra itinerante “Africa
Remix” (2004–2007), esposta nei maggiori musei
internazionali tra cui il Centre Pompidou (Parigi), la Hayward
Gallery (Londra) e il Mori Art Museum (Tokyo), considerata una pietra
miliare nella rilettura dell’arte contemporanea africana. Njami è
stato direttore artistico della Biennale di Dakar (Dak’Art) per
diverse edizioni, e co-fondatore della Réseau panafricain pour
l’art contemporain,
impegnato nella formazione e promozione di giovani curatori e artisti
africani. Dal 2013 al 2017 ha diretto la Biennale di
Fotografia
di Bamako,
rinnovandone radicalmente l’approccio curatoriale. È inoltre
autore di numerosi saggi, romanzi e testi critici, tra cui
collaborazioni con istituzioni quali il Museo Rietberg (Zurigo), il
MACBA (Barcellona), la Fondation Gulbenkian (Lisbona) e il Musée
d’Orsay (Parigi). Ha curato mostre in tutto il mondo, dalla
Biennale di Venezia alla Johannesburg Art Gallery, contribuendo in
modo significativo alla definizione di una visione postcoloniale
dell’arte contemporanea. Oltre alla sua attività curatoriale,
Simon Njami è stato membro di giurie internazionali – tra cui il
Turner Prize e il Prince Claus Award – ed è attivo nel campo della
pedagogia curatoriale, dirigendo workshop e programmi di formazione
in Europa, Africa, America Latina e Asia. Nel suo lavoro, Njami
promuove una visione dell’arte come spazio di confronto tra
linguaggi, identità e storie divergenti, invitando a superare ogni
forma di stereotipo culturale attraverso una pratica curatoriale
radicalmente aperta e dialogica.
NAFRICA-MASCHERE
presenta una selezione di 25 artisti contemporanei provenienti
dall’Africa, dalla diaspora e dall’Europa. Questi artisti si
confrontano con le eredità del colonialismo, indagano identità
complesse e praticano forme di resistenza culturale attraverso
linguaggi diversi — dalla scultura alla fotografia, dalla
performance all’installazione.
Tra
gli artisti africani e della diaspora figurano Pascale Marthine
Tayou, Michèle Magema, Meschac Gaba, Kudzanai Chiurai, Zanele Muholi
e Maurice Pefura, i cui lavori esplorano tematiche legate alla
memoria storica, al corpo e alla politica identitaria.
Gli
artisti europei, tra cui Bruno Ceccobelli, Antonio Biasiucci, Felice
Levini e Ugo Giletta, intrecciano riflessioni sulla memoria storica
europea con uno sguardo critico sul passato coloniale e sulle sue
conseguenze contemporanee.
Infine,
artisti che operano tra Africa ed Europa, come Kader Attia, Maria
Magdalena Campos e Theo Eshetu, sperimentano pratiche
transdisciplinari che interrogano la complessità delle identità
ibride e le narrazioni collettive.
Questa
pluralità di voci crea un dialogo visivo potente, invitando lo
spettatore a una riflessione critica sul passato coloniale e le sue
tracce nel presente.
Il
sindaco di Napoli: “NAFRICA-MASCHERE
è un progetto che parla di memoria, di responsabilità e di sguardi
sul futuro. Ripercorrere, attraverso l’arte, le tracce del nostro
passato coloniale significa confrontarsi con un capitolo doloroso
della storia e scegliere di trasformarlo in conoscenza e
consapevolezza. Questa consapevolezza riguarda soprattutto le nuove
generazioni: offrire ai giovani gli strumenti per comprendere la
complessità del passato significa renderli protagonisti di un futuro
più giusto, più aperto e più solidale.
La
collaborazione tra Comune, Museo e Real Bosco di Capodimonte e Napoli
2500 sotto la direzione artistica di Laura Valente, testimonia la
forza delle istituzioni quando operano insieme per costruire una
memoria condivisa e aperta. Questa mostra ci ricorda che l’arte non
è solo bellezza, ma anche coscienza civile: uno strumento per
comprendere chi siamo e per immaginare, insieme, una società più
giusta, più consapevole e più capace di futuro”.
Il
direttore generale del Museo e Real Bosco di Capodimonte Eike
Schmidt:
“Siamo lieti di accogliere a Capodimonte un progetto così
originale con il quale Napoli 2500 ha voluto confrontarsi con la
cultura africana e la sua indiscussa influenza sull'arte
contemporanea ma anche con un passato di orrori ideologici, dal
razzismo al colonialismo, che non vanno mai dimenticati, giustificati
e men che mai assolti.
Ringrazio
Laura Valente, direttrice Artistica delle celebrazioni, e Simon
Njami, figura di spicco del panorama curatoriale internazionale, per
averci invitato a questa riflessione sul ruolo dell'arte, e quindi
dei musei, nella rielaborazione di una storia finalmente globale”.
La
direttrice artistica di Napoli 2500: “Abbiamo
voluto inserire nelle celebrazioni di Napoli 2500 un progetto che
supera la commemorazione per farsi atto critico, rilettura e
possibilità di riscrittura. La collaborazione con il Museo e Real
Bosco di Capodimonte, diretto da Eike Schmidt, eccellenza del
patrimonio culturale italiano, è per noi tanto strategica quanto
simbolica: è nei luoghi del canone che oggi è urgente aprire
varchi, sollevare domande, accogliere nuovi sguardi. Simon Njami ci
invita a confrontarci con memorie e volti imprigionati negli
stereotipi, identità deformate da narrazioni univoche.
Napoli,
città dalla memoria stratificata e dalle identità mobili, con
questa mostra affronta il rimosso del colonialismo italiano e si
propone come ponte tra i nostri Sud e quelli del mondo. Una frizione
fertile, che restituisce all’arte il suo ruolo più profondo:
spazio di confronto e di trasformazione condivisa”.
Il
produttore di Black Tarantella, Andrea Aragosa: “Le
Maschere sono quelle indossate da milioni di donne, bambini e uomini
che, per sfuggire a persecuzioni, fame, miseria e carestie, mettono a
repentaglio la loro stessa vita per trovare un approdo su questa
sponda del mare nostrum. Un mare che porta conoscenze, culture e miti
millenari, ma che rimane per troppi un abisso senza ritorno.
La
memoria dei tanti che sono sepolti in quel mare sembra rivivere
attraverso le maschere di questa esposizione che ci costringe a non
dimenticare”.